domenica 14 febbraio 2010
Port au Prince e la notte di pioggia a un mese dal terremoto
di Fabrizio Lorusso - 12 febbraio - Haiti
Ad Haiti non è ancora ufficialmente iniziata la stagione delle piogge, per fortuna manca ancora qualche mese come nel resto dei Caraibi, ma anche qui ci sono i mesi pazzi e alle 4 del mattino dell’11 gennaio, la capitale ha vissuto ore di disagio e paura per le piogge intense cadute durante alcune ore. Rispetto agli uragani che periodicamente sconvolgono il paese o alle piogge torrenziali di maggio e giugno quello dell’altra sera poteva considerarsi solo uno “sfogo temporalesco” notevole ma non eccessivo. Purtroppo anche un po’ d’acqua può far notizia.
Circa un milione e duecentomila sfollati si sono infatti ritrovati ai bordi di fiumi di fango e detriti, con le loro tende e i giacigli invasi dall’acqua, secondo un copione che potrebbe ripetersi ogni giorno se nelle prossime settimane non verrà risolto il problema delle abitazioni. Gli accampamenti ufficiali e spontanei che sono stati allestiti nei parchi, nelle piazze e per le strade non sono pronti per drenare i flussi d’acqua piovana e quindi gli interventi previsti dalla comunità internazionale, dalle autorità e dagli stessi campi autogestiti dovranno presto cercare di risolvere questo problema.
Ormai le cifre relative alle vittime hanno superato ogni stima iniziale e si parla di 220mila morti mentre dal punto di vista degli aiuti ricevuti i giornali locali (segnalo “Le Nouveliste”) riportano un altro dato allarmante fornito dal Bureau de coordination des affaires humanitaires (Ocha) che segnala che solo 50mila famiglie (cioè 272mila persone) hanno ottenuto “materiali d’emergenza” come tende e materassi. Per chi non ha un tetto proprio questi beni elementari si trasformano in preziose ancore di salvataggio e, sebbene non costituiscano una dimora stabile e dignitosa, sono pur sempre un appiglio utile e, direi, quasi un privilegio. Per questo motivo Evel Fanfan, il presidente dell’associazione (Aumohd) che ci ospita nel quartiere Delmas, ci aveva chiesto di portare tende e materiali da campeggio come le pile elettriche e i sacchi a pelo oltre alle sempre necessarie medicine. Anche qui nel parcheggio dove abbiamo piantato un paio di canadesi ci siamo dovuti svegliare all’improvviso per cercare protezione dallo scrosciare della pioggia che non dava segni di cedimento e soprattutto per evitare che i computer e le stampanti, protette solamente da un telone di plastica, non venissero danneggiati.
In una conferenza stampa l’ambasciatore americano a Porto Principe, Kenneth H. Merten, ha dichiarato che le tende non rappresentano l’unica priorità e che è meglio pensare già da ora a soluzioni più stabili come per esempio i prefabbricati di legno e plastica che sono più resistenti. Inoltre – sintetizzo le sue parole – l’idea è quella di evitare che la gente si abitui alle tendopoli che potrebbero trasformarsi in città permanenti che ostacolerebbero l’opera di ricostruzione generale e i piani di ricollocamento della popolazione in zone più sicure. Intanto però la gente se la deve cavare con quello che c’è o con i teloni di plastica che in città sono diventati carissimi e ricercatissimi tanto che alcune persone che ci hanno visto per la strada ci hanno chiesto di procuraglieli pensando che siamo americani.
L’ambasciatore ha anche risposto a una domanda di un giornalista haitiano su una questione poco nota: una percentuale (intorno al 3%) dei soldi raccolti negli USA viene incamerata come contributo direttamente dall’esercito americano anziché venire usata per l’acquisto di ulteriori beni per gli haitiani e a questo Mr. Merten ha affermato che per ora gli Stati Uniti hanno stanziato ufficialmente 537 milioni di dollari e che quindi si giustifica un piccolo prelievo sulla raccolta fondi. E’ vero che ogni paese gestisce le proprie missioni umanitarie in modi differenti però possiamo dire che i cittadini americani che hanno donato per Haiti lo stanno effettivamente facendo col 97% del loro denaro e con il restante 3% stanno anche pagando la missione dell’esercito, cosa che forse non era chiarissima e che può assimilarsi a una tassa nascosta. E’ stato anche annunciato un relativo allentamento delle norme migratorie riguardanti gli haitiani che si trovavano negli USA prima del 12 gennaio e che potranno rimanere legalmente nel paese per altri 18 mesi.
Il 12 febbraio tutto il paese si ferma per ricordare le vittime del terremoto a un mese dalla catastrofe. Si pregherà dalle 7 del mattino alla sera tardi. Sarà un giorno di calma e di riflessione per cercare di intravedere la speranza, gli aiuti, la ricostruzione e il futuro.
Continuo a segnalare QUESTO LINK (http://prohaiti2010.blogspot.com) per le donazioni dato che sto lavorando con loro qui a Port au Prince e stanno cercando in vari modi di aiutare la popolazione del quartiere esclusa dalla solidarietà internazionale ufficiale.
A questo link invece c’è un album fotografico sulla capitale haitiana che spero possa interessarvi e da cui si può attingere citando la fonte (!): http://picasaweb.google.com/FabrizioLorussoMex/Haiti
domenica 7 febbraio 2010
I vicini e la violenza immaginata
Testi e Foto di Fabrizio Lorusso da Haiti
7 febbraio 2010
L’unico stato confinante con Haiti è la Repubblica Dominicana che è un paese ispanofono ed è più ricco e sviluppato del suo vicino francofono, anche grazie al turismo e a una relativa stabilità politica (ma il discorso è molto più complicato). Quindi due stati si spartiscono l’isola in cui sbarcò Colombo il 14 ottobre 1492 e che venne chiamata La Hispaniola.
Due popoli apparentemente diversi ma in realtà più simili tra loro rispetto a quanto si pensi, date le mescolanze secolari e i rapporti necessari però non sempre cordiali tra questi vicini di casa. Mentre nel secolo XIX il vicino potente e fiero era Haiti, nel secolo scorso i ruoli si sono lentamente invertiti e, magari forzando un po’ un paragone valido in molte terre di confine dell’America Latina, la Repubblica Dominicana rappresenta oggi quello che è la Costa Rica per il Nicaragua, l’Argentina per la Bolivia o gli Stati Uniti per il Messico, cioè un paese confinante e prospero verso cui emigrare, con più lavoro e migliori salari ma anche tanto risentimento, discriminazione ed esclusione nei confronti di una popolazione percepita come “etnicamente differente” rispetto all’identità nazionale predominante.
Per le strade di Santo Domingo e persino nelle colonne dei principali quotidiani nazionali non è difficile sentire commenti razzisti sui vicini haitiani cui vengono attribuite spesso le colpe degli incidenti, dei furti e in generale dei problemi del paese che “sarebbe più ricco se avesse altri vicini, se potesse avere un’immigrazione migliore”. Alcuni tassisti ci hanno detto di avere pura dei contagi e le malattie provenienti da Haiti senza però specificare di che si tratta. Una nuova epidemia di suina? C’è chi ancora ricorda la conquista di Santo Domingo da parte delle truppe insorte dal presidente haitiano Jean-Pierre Boyer nel 1822. Infatti la Repubblica Dominicana divenne indipendente solo nel 1844, 40 anni dopo Haiti che invece lottò e vinse contro la Francia di Napoleone nel 1804, diventando la prima Repubblica indipendente in America dopo gli USA.
Storia a parte, si sentono commenti simili a quelli dei tassiti e della gente comune di Santo Domingo anche nella “bianca” Costa Rica quando si parla dei Nicas, cioè i nicaraguensi, che costituiscono ormai oltre il 10% della popolazione del Costa Rica e svolgono i lavori più umili. In tema di migrazione ho avuto occasione di pensare anche al mio paese dato che a freddo una ragazza haitiana dell’università mi ha chiesto ieri se in Italia è vero che siamo razzisti, come rispondereste?
Un ammonimento datomi da alcuni albergatori dominicani riguardava il pericolo della violenza e del sequestro che mi avrebbe dovuto scoraggiare dal partire per Port au Prince, ancor di più adesso che, a detta loro, l’anarchia e la disperazione si stanno impossessando di quella città incivile e inospitale. Ciononostante il sequestro, l’omicidio e la violenza in generale sono una caratteristica ricorrente delle grandi metropoli latino americane e di Città del Messico, capitale in cui risiedo da 8 anni e in cui il cosiddetto sequestro express (una modalità di rapimento che dura poche ore, quanto basta per costringerti a prelevare il massimo disponibile dallo sportello Bancomat un paio di volte), lo scippo e il furto sono il pane di tutti i giorni per migliaia di cittadini. Chiaramente ci si può aspettare un tasso di criminalità più alto nei quartieri e nelle città più povere, disuguali e disagiate ma non si tratta né di un’equazione matematica né di un teorema automaticamente verificato. All’università ci insegnavano che i migliori economisti sono quelli che non ti dicono mai “sì” o “no”, ma rispondono sempre “dipende” a qualsiasi domanda riguardante l’economia o le scienze sociali e volevano farci capire che spesso la realtà è più complicata della teoria accademica o della speculazione mediatica. In questo senso mi interessava conoscere l’opinione degli abitanti di Port au Prince su quanto all’estero viene raccontato e mostrato riguardo al tema della violenza per le strade della capitale haitiana e dell’immagine selvaggia e drammatica che viene inoltrata dai mass media verso tutte le TV e i PC globalmente interconnessi.
Ragazzi che sparano a ragazzi, repressioni da parte delle forze dell’ordine e degli eserciti occupanti, scene di disperazione e di lotta da strada per accaparrarsi aiuti lanciati da aerei timorosi d’atterrare, un popolo sull’orlo di una crisi non di nervi ma “pre-rivoluzionaria” e infine la notizia dei fanatici americani arrestati mentre trafugavano alcuni bambini alla frontiera che rimbalza più forte del terremoto del 12 gennaio: l’idea della violenza immaginata si trasforma in una verità che può arrivare a giustificare pubblicamente la presenza delle armi, delle portaerei, dei soldati e degli elicotteri militari, gli unici mezzi che sorvolano tutto il giorno i cieli di Porto Principe.
Bene. Senza negare che vi siano stati alcuni importanti disordini e delle scene di disperazione atroci, dovute anche all’incuria e alla disorganizzazione nella distribuzione degli aiuti, la gente spaventata e stipata negli accampamenti, i venditori di strada e le organizzazioni della società civile ci tengono a comunicare che, malgrado la tragedia sia appena cominciata e sia una delle peggiori della storia, loro sono solidali e tristi ma non distrutti, bisognosi e arrabbiati ma non violenti.
Negli accampamenti approntati in queste settimane nelle vie secondarie, nei parchi e nei giardini, la vita comunitaria s’è riattivata coi meccanismi della solidarietà e della distribuzione delle poche risorse disponibili. Esistono anche le speculazioni ma non sono l’unico sistema. Esiste la violenza ma non è la regola, almeno non molto di più di quanto lo sia a Bogotà o a Caracas. Camminando per le strade delle zone dell’hinterland l’impressione è che la gente sia abituata alle catastrofi e che quasi si potesse percepire l’arrivo del terremoto. In tanti hanno perso tutto, casa, cose, amici, parenti, speranze, arti, ma in tanti stanno recuperando qualcosa, a poco a poco.
Mentre ci si addentra nei vicoli e ci si orienta lentamente nel dedalo di tende, ci si sente stranamente sicuri, forse ingenuamente ammaliati da tante persone che cercano di aiutare, chiedono di essere ascoltate o si offrono per svolgere dei piccoli lavori come traduttori, aiutanti, cuochi improvvisati o guide.
Tutto serve insomma.
Su Facebook in molti mi hanno chiesto a chi o come fare donazioni veramente utili che non finiscano nella spirale burocratica, quindi segnalo questo link: http://prohaiti2010.blogspot.com.
*Fabrizio Lorusso, Insegnante di lingua e cultura italiana a Città del Messico,
giornalista e collaboratore di Selvas.org, ha pubblicato in Messico
il libro di poesie "Memorias del mañana" - Ediciones Quinto Sol.
Autore dei Blog http://lamericalatina.net - http://latinoamericaexpress.blog.unita.it
________________________________________________________________
7 febbraio 2010
L’unico stato confinante con Haiti è la Repubblica Dominicana che è un paese ispanofono ed è più ricco e sviluppato del suo vicino francofono, anche grazie al turismo e a una relativa stabilità politica (ma il discorso è molto più complicato). Quindi due stati si spartiscono l’isola in cui sbarcò Colombo il 14 ottobre 1492 e che venne chiamata La Hispaniola.
Due popoli apparentemente diversi ma in realtà più simili tra loro rispetto a quanto si pensi, date le mescolanze secolari e i rapporti necessari però non sempre cordiali tra questi vicini di casa. Mentre nel secolo XIX il vicino potente e fiero era Haiti, nel secolo scorso i ruoli si sono lentamente invertiti e, magari forzando un po’ un paragone valido in molte terre di confine dell’America Latina, la Repubblica Dominicana rappresenta oggi quello che è la Costa Rica per il Nicaragua, l’Argentina per la Bolivia o gli Stati Uniti per il Messico, cioè un paese confinante e prospero verso cui emigrare, con più lavoro e migliori salari ma anche tanto risentimento, discriminazione ed esclusione nei confronti di una popolazione percepita come “etnicamente differente” rispetto all’identità nazionale predominante.
Per le strade di Santo Domingo e persino nelle colonne dei principali quotidiani nazionali non è difficile sentire commenti razzisti sui vicini haitiani cui vengono attribuite spesso le colpe degli incidenti, dei furti e in generale dei problemi del paese che “sarebbe più ricco se avesse altri vicini, se potesse avere un’immigrazione migliore”. Alcuni tassisti ci hanno detto di avere pura dei contagi e le malattie provenienti da Haiti senza però specificare di che si tratta. Una nuova epidemia di suina? C’è chi ancora ricorda la conquista di Santo Domingo da parte delle truppe insorte dal presidente haitiano Jean-Pierre Boyer nel 1822. Infatti la Repubblica Dominicana divenne indipendente solo nel 1844, 40 anni dopo Haiti che invece lottò e vinse contro la Francia di Napoleone nel 1804, diventando la prima Repubblica indipendente in America dopo gli USA.
Storia a parte, si sentono commenti simili a quelli dei tassiti e della gente comune di Santo Domingo anche nella “bianca” Costa Rica quando si parla dei Nicas, cioè i nicaraguensi, che costituiscono ormai oltre il 10% della popolazione del Costa Rica e svolgono i lavori più umili. In tema di migrazione ho avuto occasione di pensare anche al mio paese dato che a freddo una ragazza haitiana dell’università mi ha chiesto ieri se in Italia è vero che siamo razzisti, come rispondereste?
Un ammonimento datomi da alcuni albergatori dominicani riguardava il pericolo della violenza e del sequestro che mi avrebbe dovuto scoraggiare dal partire per Port au Prince, ancor di più adesso che, a detta loro, l’anarchia e la disperazione si stanno impossessando di quella città incivile e inospitale. Ciononostante il sequestro, l’omicidio e la violenza in generale sono una caratteristica ricorrente delle grandi metropoli latino americane e di Città del Messico, capitale in cui risiedo da 8 anni e in cui il cosiddetto sequestro express (una modalità di rapimento che dura poche ore, quanto basta per costringerti a prelevare il massimo disponibile dallo sportello Bancomat un paio di volte), lo scippo e il furto sono il pane di tutti i giorni per migliaia di cittadini. Chiaramente ci si può aspettare un tasso di criminalità più alto nei quartieri e nelle città più povere, disuguali e disagiate ma non si tratta né di un’equazione matematica né di un teorema automaticamente verificato. All’università ci insegnavano che i migliori economisti sono quelli che non ti dicono mai “sì” o “no”, ma rispondono sempre “dipende” a qualsiasi domanda riguardante l’economia o le scienze sociali e volevano farci capire che spesso la realtà è più complicata della teoria accademica o della speculazione mediatica. In questo senso mi interessava conoscere l’opinione degli abitanti di Port au Prince su quanto all’estero viene raccontato e mostrato riguardo al tema della violenza per le strade della capitale haitiana e dell’immagine selvaggia e drammatica che viene inoltrata dai mass media verso tutte le TV e i PC globalmente interconnessi.
Ragazzi che sparano a ragazzi, repressioni da parte delle forze dell’ordine e degli eserciti occupanti, scene di disperazione e di lotta da strada per accaparrarsi aiuti lanciati da aerei timorosi d’atterrare, un popolo sull’orlo di una crisi non di nervi ma “pre-rivoluzionaria” e infine la notizia dei fanatici americani arrestati mentre trafugavano alcuni bambini alla frontiera che rimbalza più forte del terremoto del 12 gennaio: l’idea della violenza immaginata si trasforma in una verità che può arrivare a giustificare pubblicamente la presenza delle armi, delle portaerei, dei soldati e degli elicotteri militari, gli unici mezzi che sorvolano tutto il giorno i cieli di Porto Principe.
Bene. Senza negare che vi siano stati alcuni importanti disordini e delle scene di disperazione atroci, dovute anche all’incuria e alla disorganizzazione nella distribuzione degli aiuti, la gente spaventata e stipata negli accampamenti, i venditori di strada e le organizzazioni della società civile ci tengono a comunicare che, malgrado la tragedia sia appena cominciata e sia una delle peggiori della storia, loro sono solidali e tristi ma non distrutti, bisognosi e arrabbiati ma non violenti.
Negli accampamenti approntati in queste settimane nelle vie secondarie, nei parchi e nei giardini, la vita comunitaria s’è riattivata coi meccanismi della solidarietà e della distribuzione delle poche risorse disponibili. Esistono anche le speculazioni ma non sono l’unico sistema. Esiste la violenza ma non è la regola, almeno non molto di più di quanto lo sia a Bogotà o a Caracas. Camminando per le strade delle zone dell’hinterland l’impressione è che la gente sia abituata alle catastrofi e che quasi si potesse percepire l’arrivo del terremoto. In tanti hanno perso tutto, casa, cose, amici, parenti, speranze, arti, ma in tanti stanno recuperando qualcosa, a poco a poco.
Mentre ci si addentra nei vicoli e ci si orienta lentamente nel dedalo di tende, ci si sente stranamente sicuri, forse ingenuamente ammaliati da tante persone che cercano di aiutare, chiedono di essere ascoltate o si offrono per svolgere dei piccoli lavori come traduttori, aiutanti, cuochi improvvisati o guide.
Tutto serve insomma.
Su Facebook in molti mi hanno chiesto a chi o come fare donazioni veramente utili che non finiscano nella spirale burocratica, quindi segnalo questo link: http://prohaiti2010.blogspot.com.
*Fabrizio Lorusso, Insegnante di lingua e cultura italiana a Città del Messico,
giornalista e collaboratore di Selvas.org, ha pubblicato in Messico
il libro di poesie "Memorias del mañana" - Ediciones Quinto Sol.
Autore dei Blog http://lamericalatina.net - http://latinoamericaexpress.blog.unita.it
________________________________________________________________
Haiti: Diario da Porto Principe
DIARIO da Porto Principe - 5 febbraio 2010
di Fabrizio Lorusso
“Tutte le persone che ne hanno bisogno possono ricaricare il telefono gratis”, “Tutti i responsabili sindacali, le Ong e le organizzazioni umanitarie che vengono possono usare Internet gratis e possono fare anche delle riunioni”.
Dopo due giorni di viaggio tra aerei ed autobus da Città del Messico a Santo Domingo e poi a Port-au-Prince, Haiti, mi accoglie così il cartello scritto in creolo affisso sulla porta d’entrata dell’Aumohd, l’associazione di avvocati dedicati alla difesa dei diritti umani che operano nei quartieri disagiati di Porto Principe e che mi ospiteranno per una ventina di giorni nella zona Delmas, una delle tante città dentro la città che compongono la disastrata capitale haitiana.
Il centro operativo dell’associazione funziona perfettamente grazie ad un generatore di corrente a benzina che alimenta alcuni computer portatili, dei cellulari e un paio di stampanti, strumenti indispensabili per ricominciare le attività di supporto alla popolazione e cercare la maniera migliore di ottenere i famosi “aiuti umanitari internazionali” che si vedono più alla televisione e nelle notizie che nella difficile realtà quotidiana.
Tutta la zona è senza elettricità e non si sa quando sarà ripristinata. Si vendono per la strada candele e pile per supplire alla mancanza di luce pubblica. Il generatore dell’Aumohd è a disposizione di tutti quelli che ne hanno bisogno e presto verrà istallato un piccolo centro medico per le cure d’emergenza e l’assistenza sanitaria se si riusciranno a recuperare dei fondi.
Un amico compagno di viaggio, Diego Lucifreddi, e io abbiamo fatto la nostra piccola parte portando dal Messico un centinaio di scatole e flaconcini di antibiotici, antiematici, paracetamol, aspirine, alcol, oltre a garze sterili, vitamine e termometri ma i bisogni eccedono la capacità di due viaggiatori e richiedono un contributo di massa.
Il conteggio ufficiale delle vittime del terremoto del 12 gennaio scorso ha ormai superato la cifra di 200mila anche se molte abitazioni, uffici, chiese, negozi e strade non sono ancora state esplorate e sgomberate, quindi restano migliaia di vittime intrappolate nelle macerie di una metropoli trasformatasi rapidamente in un accampamento gigante e brulicante.
Lo shock post terremoto è uno dei fantasmi che si aggirano per le vie, per i parchi e le piazze di Porto Principe, occupate da accampamenti, tendopoli e rifugi d’emergenza che ormai sono una dimora per migliaia di senza tetto (il numero degli sfollati sembra aver superato il milione) e per le persone che non vogliono ritornare a casa perché gli spazi chiusi e le crepe enormi sulle pareti fanno troppa paura.
Le notti infestate dalle zanzare e dal calore asfissiante passano nella speranza di poter trovare un pasto per il giorno dopo o di poter inviare qualche soldo ai membri della famiglia che se sono andati a vivere in luoghi più sicuri fuori città. Quindi il secondo fantasma che minaccia la sopravvivenza della capitale è la fame dato che la massa enorme di viveri e medicine arrivati da tutto il mondo non filtrano verso i quartieri disagiati e alle associazioni veramente bisognose.
Basta camminare dieci minuti sulla lunghissima e trafficata via Delmas per rendersi conto che la distruzione provocata dalle scosse del 7° grado della scala Richter è stata massiccia e ha cancellato interi condomini e palazzi sconvolgendo la struttura e l’anima delle strade, ma non ha abbattuto la volontà di sopravvivenza della gente comune e la vitalità del popolo haitiano.
Forse una casa su quattro è crollata o minaccia di farlo presto se ci saranno nuove repliche del sisma o se l’incuria e l’impotenza dello Stato continueranno.
L’unico palazzo governativo rimasto in piedi è quello del ministero degli interni nel cui giardino sono attualmente accampate centinaia di persone. In certi quartieri i politici non sono ben visti dato che appaiono magicamente durante la campagna elettorale e nei momenti d'estrema emergenza (molto frequenti ad Haiti), ma poi scompaiono nella polvere di strade mai asfaltate e nel silenzio di promesse non mantenute.
Inoltre l’offerta di cibo per la strada scarseggia, sono pochissimi i supermercati aperti e, solo per fare un esempio, una pizza da Domino’s costa da 10 a 20 dollari USA che è un prezzo assolutamente proibitivo. Stanno anche iniziando a proliferare i venditori di medicine e prodotti per l’igiene personale che alimentano il mercato nero della rivendita o “riciclaggio” degli aiuti umanitari selettivamente distribuiti.
E’ urgente promuovere l’attivazione di canali alternativi di finanziamento e d’aiuto(vedi raccolta fondi: http://prohaiti2010.blogspot. com ) per la popolazione che si trova ai margini. Sembra che il problema dell’acqua sia stato parzialmente risolto e che il suo prezzo sia relativamente sotto controllo ma in alcuni casi supera il dollaro e mezzo al litro e quando non si hanno più entrate di nessun tipo, direi che il problema resta aperto e drammatico.
*Fabrizio Lorusso, Insegnante di lingua e cultura italiana a Città del Messico,
giornalista e collaboratore di Selvas.org, ha pubblicato in Messico
il libro di poesie "Memorias del mañana" - Ediciones Quinto Sol.
Autore dei Blog http://lamericalatina.net - http://latinoamericaexpress.blog.unita.it
________________________
giornalista e collaboratore di Selvas.org, ha pubblicato in Messico
il libro di poesie "Memorias del mañana" - Ediciones Quinto Sol.
Autore dei Blog http://lamericalatina.net - http://latinoamericaexpress.blog.unita.it
________________________
lunedì 1 febbraio 2010
APPELLO per HAITI
di Redazione www.selvas.org
Aggiornato: 30 gennaio 2010
Foto di Fabio Cuttica (® http://haitifreelance.wordpress.com) Port-au-Prince HAITI
IMPORTANTE
Aggiornato: 30 gennaio 2010
Foto di Fabio Cuttica (® http://haitifreelance.wordpress.com) Port-au-Prince HAITI
L'Associazione di avvocati haitiani volontari AUMOHD, Action des Unité Motives pour une Haïti de Droit "è in dovere di lanciare un appello urgente a tutti i suoi amici e sostenitori, a tutti gli amici di Haiti per aiutarci tramite un contributo che ci possa permettere di supportare i senza tetto, ricostruire le infrastrutture distrutte dell'AUMOHD, e aiutare le famiglie in difficoltà." |
L'Associazione Selvas.org
consiglia di aiutare, attraverso una raccolta fondi,
un'associazione locale, AUMOHD composta da avvocati haitiani, che lavorando sul terreno e a stretto contatto con migliaia di famiglie, è il riferimento naturale di numerosi cittadini haitiani. Selvas.org vi aggiornerà con corrispondenze e notizie sulla catastrofe, come dell'operato di questa associazione e della raccolta fondi.
Con l'avvocato haitiano Evel Fanfan, la nostra asociazione aveva già collaborato a una raccolta fondi per assistere le persone colpite dai tre uragani del settembre 2008 andata a buon fine e permettendo a oltre 800 persone radunate dai volontari dell'AUMOHD di sostenersi per i giorni necessari durante la massima emergenza umanitaria.
Nei primi giorni seguiti al terremoto che ha duramente colpito non solo la capitale ma numerose località minori, avevamo lanciato un appello con la speranza di trovare in vita il nostro contatto, perchè sicuri che non avrebbe esitato, se lo avesse potuto, organizzare un centro di aiuti locali. E infatti, per fortuna, appena ristabiliti i contatti Evel Fanfan non ha esitato ad avvisarci che stava organizzando una gestione degli aiuti in alcune delle zone più abbandonate della capitale, attraverso l'uso di parte della sede di AUMOHD, parzialmente resistita al sisma. Evel, come molti sui concittadini ha perso la casa e, immaginiamo, diverse persone care in questo terremoto. Ma non ha perso la speranza, non ha perso la forza e l'orgoglio di voler continuare aiutando i suoi fratelli, come lo faceva da avvocato ora continua ad essere al servizio della sua gente, nel migliore dei modi: con le proprie mani.
Se vogliamo parlare di un futuro democratico e libero ad Haiti, se crediamo all'autoderminazione dei popoli liberi da debiti economici infami, se ci sentiamo truffati nei più profondi sentimenti quando sentiamo parlare di "ABOLIZIONE del DEBITO" e scopriamo che si trasforma in "NUOVI CREDITI per LA RICOSTRUZIONE", e quando non possimo andare ad Haiti ad aiutare, facciamo alllora ciò che possiamo. Utilizziamo la nostra credibilità di Associazione che non ha mai usufruito di un finanziamento, che ha sempre lavorato gratuitamente per l'informazione e che solo grazie ai propri lettori deve la propria esistenza e diffusione, per CHIEDERE A TUTTI VOI di AIUTARE ECONOMICAMENTE l'Associazione haitiana AUMOHD, nei modi e quantità di cui ognuno di voi dispone. Mettiamo a disposizione un sistema PayPal per donare con carte di credito e un conto corrente di Selvas.org concoordinate bancarie IBAN (dall'Italia e dall'Europa) e BIC (International Code).
consiglia di aiutare, attraverso una raccolta fondi,
un'associazione locale, AUMOHD composta da avvocati haitiani, che lavorando sul terreno e a stretto contatto con migliaia di famiglie, è il riferimento naturale di numerosi cittadini haitiani. Selvas.org vi aggiornerà con corrispondenze e notizie sulla catastrofe, come dell'operato di questa associazione e della raccolta fondi.
Con l'avvocato haitiano Evel Fanfan, la nostra asociazione aveva già collaborato a una raccolta fondi per assistere le persone colpite dai tre uragani del settembre 2008 andata a buon fine e permettendo a oltre 800 persone radunate dai volontari dell'AUMOHD di sostenersi per i giorni necessari durante la massima emergenza umanitaria.
Nei primi giorni seguiti al terremoto che ha duramente colpito non solo la capitale ma numerose località minori, avevamo lanciato un appello con la speranza di trovare in vita il nostro contatto, perchè sicuri che non avrebbe esitato, se lo avesse potuto, organizzare un centro di aiuti locali. E infatti, per fortuna, appena ristabiliti i contatti Evel Fanfan non ha esitato ad avvisarci che stava organizzando una gestione degli aiuti in alcune delle zone più abbandonate della capitale, attraverso l'uso di parte della sede di AUMOHD, parzialmente resistita al sisma. Evel, come molti sui concittadini ha perso la casa e, immaginiamo, diverse persone care in questo terremoto. Ma non ha perso la speranza, non ha perso la forza e l'orgoglio di voler continuare aiutando i suoi fratelli, come lo faceva da avvocato ora continua ad essere al servizio della sua gente, nel migliore dei modi: con le proprie mani.
Se vogliamo parlare di un futuro democratico e libero ad Haiti, se crediamo all'autoderminazione dei popoli liberi da debiti economici infami, se ci sentiamo truffati nei più profondi sentimenti quando sentiamo parlare di "ABOLIZIONE del DEBITO" e scopriamo che si trasforma in "NUOVI CREDITI per LA RICOSTRUZIONE", e quando non possimo andare ad Haiti ad aiutare, facciamo alllora ciò che possiamo. Utilizziamo la nostra credibilità di Associazione che non ha mai usufruito di un finanziamento, che ha sempre lavorato gratuitamente per l'informazione e che solo grazie ai propri lettori deve la propria esistenza e diffusione, per CHIEDERE A TUTTI VOI di AIUTARE ECONOMICAMENTE l'Associazione haitiana AUMOHD, nei modi e quantità di cui ognuno di voi dispone. Mettiamo a disposizione un sistema PayPal per donare con carte di credito e un conto corrente di Selvas.org concoordinate bancarie IBAN (dall'Italia e dall'Europa) e BIC (International Code).
BANCA POPOLARE ETICA
Filiale 02 – Milano
Conto Corrente 114333
Filiale 02 – Milano
Conto Corrente 114333
Intestato a:
ASSOCIAZIONE CULTURALE SELVAS.ORG
ASSOCIAZIONE CULTURALE SELVAS.ORG
(Importante specificare) CAUSALE:
HAITI
Coordinate Bancarie:
Dall’Italia e dall'Europe:
EUR IBAN IT49 I050 1801 6000 0000 0114 333
EUR IBAN IT49 I050 1801 6000 0000 0114 333
International Code:
Codice BIC CCRTIT2T84A
Codice BIC CCRTIT2T84A
IMPORTANTE
>> Por favor informarnos cuando donas y cuanto donas: te avisaremos si llegò todo bien!
>> Per favore informateci quando e quanto donate: ti avviseremo se è andato a buon fine!
e-mail: info@selvas.org Objet: DONACION/DONAZIONE
Iscriviti a:
Post (Atom)